lunedì 31 ottobre 2011

La poesia è il momento

La poesia è il momento
Quello che ti passa fra lo stomaco e la mente
Una donna nell’altra stanza in semi oscurità
Una bottiglia di rosato che si va dimezzando
La musa che ti ispira o tu che improvvisi
Le tue mani che pestano sui tasti o si soffermano
Mentre qualcuno da fuori fa una brusca frenata
Susseguita da uno schianto
E un allarme si mette in moto
E i cani attaccano ad abbaiare
E i vicini a sentenziare
E poi è tutto un imprecare
Ma le tue mani riprendono a trascrivere
Quello che ti è stato trasmesso.
La poesia è una sensazione
Un uomo che cammina solo sui suoi passi
Due tizi seduti sul marciapiede che scambiano parole
Un gatto che si arresta di colpo udendo qualcosa
Il vento che all’improvviso smuove le cose
Le tue voglie che desiderano prendere forma
Le idee che corrono verso un punto preciso
Il fumo di sigaretta che galleggia nello stanzino
Che prende forme e colori
In base alla staticità dell’aria
E ai riflessi della luce al neon
Che tremola e suona un ronzio
Mentre il tuo stomaco e in pieno spasmo
Come se volesse buttare fuori tutto quello che ha addosso
E liberarsi per riprendere fiato.
La poesia è una strada
Un’etica che si vuol mantenere per essere tali
Tempi duri da passare per ritrovar sollazzo
Una musica classica che si sbizzarrisce a profano
L’aria frizzante che entra da una finestra semi chiusa
Una bambina che alle ventiquattro e trenta non trova ancora sonno
Quella donna di trentasei anni che alle ventitre e trenta
Ti è sembrata non essere cresciuta mai
Quel tizio che a trent’anni si è detto già vecchio
Quell’altro che faceva finta di essere quello che la sapeva
Quegli altri intorno che sono solamente altri intorno
Il tuo sguardo che si sperde in punti indefiniti
L’aria fredda che ti entra fin dentro alle ossa
E incominci a sentire tremiti di freddo
I muscoli prendono a vibrare in modo frenetico
Le dita diventano fredde ed egoista
E ti muovi con passo rapido e veloce
Afferrando una scusa che inventi al momento
E vai da qualche parte
Tanto per non restare fermo
Per riprendere un po’ di lucidità
E rimetterti sulla tua via.
La poesia è una casa
Un nascondiglio dove potere oziare
Perdersi nel calore e rimandare
Farsi due uova fritte tanto per non uscire
Guardare attraverso le persiane veneziane
Chiudere le tende e non rispondere al citofono
Affossare il cellulare sotto il cuscino col microfono verso il materasso
Farsi un caffè e berlo nella calma di una sigaretta
Pettinare i capelli a tua figlia
Fare la pasta a brodo con tutte le spezie
Fare l’amore con la donna e pure disinibito
Prendere il fallo e farlo esaltare
Sollecitare la vagina con le dita e la lingua
Fare una simbiosi fra spiritualità e carne
Condendo con noce moscata, pepe, e basilico
E l’aglio comunque
Un po’ di vino, e poi col burro
Non serve più la vasellina
Anche se io in questi altri casi mi servo più della saliva
Mista ai liquidi della vulva.
La poesia è un’emozione
Una cosa forte che ti fa andare oltre
Un senso di ribellione misto a spiritualità
Gli occhi di quella femmina che vorrebbero scrutarti nelle viscere
Le parole della barista che non sa o che non sai mai dirle
Il piacere che provi quando ne scrivi una veramente buona
La battona che ti rispetta più di quando fa con gli altri
La gente che ti paga da bere solamente perché sei lì
La tua donna che te ne legge una quando meno te lo aspetti
La ragazza che ti sollecita dopo aver rifiutato il tuo azzardo
Tuo figlio che suona il piano mentre tu componi
Tua figlia che finisce la scuola di danza ed è più contenta
E la maestra
Quel gran pezzo di ragazza
Che cerca una scusa per dirti una cosa
E ti sollecita
E tu indugi
Glielo vorresti sentir dire
Che avrebbe una grandissima voglia
Come te
Di farsi una bella avventura
Ma si ha una specie di timore
Per tempi passati andati a volgare
E non escono le parole oggettive.
La poesia è passione
Lo sguardo sensuale di quella donna mora
Le cosce lisce e lucide di quella puledra selvaggia
Le labbra carnose che non ho più ritrovato
Le mie mani sul pianoforte che suonano la mia musica
Le sue mani sulla mia schiena che mi strizzano i punti neri
Le lingue che si sbizzarriscono dentro la bocca
Gli occhi che dicono più di quanto fanno le parole
I miei pugni contro il niente
Il sangue che pulsa nelle mie vene
Le ispirazioni che mi passano per la testa
Che si vanno incontro
E creano
Nell’unicità di tanti neuroni
E prendi la prima forma cartacea
Una biro
Una matita
O qualcosa del genere insomma
E vola la parola
Dalla mente alla grafia
O alla grafica dello schermo
Se si è davanti al PC.
La poesia è il momento
La poesia è una città
La poesia è un paese
La poesia è una montagna
La poesia è una campagna
La poesia è un fiume
La poesia è il momento
Bello o come sia.

domenica 30 ottobre 2011

Che cosa vuoi?

Che cosa vuoi?


Dammi il gioco e sono apposto
In un attimo mi desto da questo disinteresse
E ti mostrerò che cos’è un essere vivo
E quali cose sorprendenti riesce a fare.
E poi dimmi come lo vuoi
Buono o cattivo
O se non vuoi tutte e due le cose.
O se no
Stai zitta
Non dire niente
Aprimi solamente la porta
Che io entro e faccio a modo mio.
E poi il letto ti sembrerà il mare
La gente ti sembrerà dei pesci
Che boccheggiano
E tu come una sirena
Mi canterai
E mi osserverai
Nella mia parte di vogatore
Fin quando avrò forza
E tu voglia di cantare.
O allora sarà del tutto una follia
Carica di avventura
Di sesso sfrenato
Di indecenza totale
E vaffanculo a tutta la massa
Che non fa altro
Che guardare la gobba degli altri
Facendo finta di non avere la propria.
Cara mia
O giochi
O continui a morire
Tenendoti addosso
I lividi della realtà.

La mia avventura

La mia avventura


Ho riacquistato
La mia libertà
Dopo che mi sono convinto
Che con la mia lei
Era davvero finita
Dopo bugie bugie e bugie
le mandai un SMS:
non voglio +
sentire dire
una parola d’amore.
Il giorno dopo
Lei venne a trovarmi
Diede una sistemata alla casa
Poi venne a sedersi accanto a me
Nel divano
E un momento dopo scopammo
Dopo mesi di astinenza.
Poi lei mi chiese un passaggio
E mentre l’accompagnai mi disse:
“Non dobbiamo litigare più”.
No
Non avremmo litigato più
(forse)
perché era finita
anche se volevamo restare
buoni amici.
E così sono di nuovo
Libero da legamenti coniugali
Ora bisogna ricominciare
Ancora da solo
E cercare di sfruttare al meglio
Quel che mi passerà tra le mani
E tenere duro
Nei momenti duri.
Vai Giò
Continua la tua avventura.

A me fa cagare un po’ tutto, mi sembra tutto uno spreco, non sono simile a niente, alle volte mi do fastidio io stesso, ma poi mi fermo un attimo a pensare, mentre mi girano le palle, e cerco di trovare un trucco per fregare il trucco!

La massa, una grande cacca compressa!

Canzoni 1

Cosa c'è di meglio


Cosa c’è di meglio nella vita
Di una donna una bottiglia e un letto
Cosa c’è di meglio chi lo sa?
Gente che rincorre la fortuna
Ambizioni e posti più sicuri
Mentre un altro giorno vola via.
Quanto tempo hai perso a non capire
A sfiorare il mondo con il culo
Senza mai rischiare neanche un po’.
Quando spunta il sole e guardi fuori
Vedi il cielo e senti il suo respiro
Cosa c’è di meglio tu lo sai?
E si, e si, che la vita continua anche senza di te
Ma si, ma si, va pure dove ti porta il cuore
Son tutti lì i tuoi amici alla moda del sabato sera
Io resto qui fra le gambe di lei e le sue voluttà.
Cosa c’è di meglio nella vita
Di una semi nuda per le stanze
E la mente libera chi lo sa?
Gente che si uccide per potere
Per avere il mondo fra le mani
Mentre Dio riposa nell’eternità.
Ora c’hai il motore e il motoscafo
E ti sembra tutto più montato
Ma non l’hai trovata la fantasia.
Cosa c’è di meglio nella vita
Di una sigaretta al chiar di luna
Che ti ispira mille e più poesie?
E si, e si, che la vita continua anche senza di te
Ma si, ma si, va pure dove ti porta il cuore
Là troverai tutto quello che vuoi in quantità
Io resto qui fra l’odore del fumo e la mia libertà.
Cosa c’è di meglio nella vita
Di una donna, una bottiglia e un letto
Chi lo sa?


Erika

Erika c’eri solo quella sera
Chissà che cosa ti ha colpito, chissà
Però eri lucida, eri tu uh uh.
Eri scappata dal tuo tipo perché
Forse volevi un po’ di vita per te
Solamente per te, solo per te
E l’hai cercata in me.
Ed hai voluto un po’ di tutto, di più
E poi l’hai preso con la mano così
E l’hai tirato su, un po’ più su.
Sei stata brava, proprio brava direi
Con una così chiara facilità
Eri dinamica, eri tu uh uh
Eri su uh uh.
Ma poi non c’eri più, eri sparita
Con la tua solita amica complicata
E non ti ho sentita più, eri svanita
Fra quella vita senza più vita.
Erika c’eri solo quella sera
Chissà che cosa ti ha colpito, chissà
Però eri lucida, eri tu uh uh.
Ed hai voluto proprio tutto di me
Non mi hai lasciato proprio niente, perché
Volevi tutto tu, tutto per te
Senza pensare a me.
E poi non c’eri più, eri svanita
Nella tua solita vita complicata
E non ti ho sentito più, eri sparita
Fra quella vita esagitata.
Ma poi non c’eri più, eri sparita
Con la tua solita amica complicata
E non ti ho sentito più, eri svanita
Fra quella vita senza più vita.
Erika c’eri solo quella sera
Puttana, cosa ti ha colpito, chissà?


Domani

Domani non lo so
Sarò forse in una bella storia
A bere o che so
Probabilmente in un letto con lei
E mi lascerò andare…
Ma domani, domani
Domani domani domani
Domani vorrei non essere qui!
E siccome la vita è questa
È meglio prenderla così
A me domani, domani
Infondo non ci ho mai pensato.
E poi del resto chi se ne frega
Faccio fatica ad alzarmi dal letto
E quando poi ti rincontro
Non mi dai più di tanto.
Ma certo potrei dirti parole belle
Parole belle con un suono così.
Domani non lo so
Sarò forse senza una storia
E farò questo pezzo qui
O un altro pezzo ancora
Così non ti sentirò più dire no.
Ma domani, domani
Domani domani domani
Domani vorrei non essere
Qui.
Ma vedi, la questione in fondo
La questione è questa qui
E come vedi puoi constatarla
O goderla se vuoi.
Chi se ne frega se siamo soli
Chi se ne frega di tutto il resto
Anche se la noia ci tiene d’occhio
Siamo sempre vivi.
Domani, non lo so
Sarò certo in un’altra storia
E farò un altro pezzo, si
E un altro pezzo ancora
Così non ti sentirò
Più dire no.


Guardo me

Guardo me
Il mio mare che non c’è
Il rumore di un frigo che
Non ce la fa più…
Ed il vento che da qualche tempo
Si fa sentire sempre di più
Ed il gruppo che se non fosse
Per il fatto delle persone.
Ma poi è proprio necessario
Stare a sentire gli altri?
Se sei questo dicono quello
Se sei quello dicono questo
E non c’è più morale
Non c’è più morale.
Guardo me
Il mio mare ma dov’è?
Io comincio a pensare che
Non ne resta più.
Ed ho finito le sigarette
Ed ho finito anche il vino
E adesso mi faccio venire sonno
Tanto domani sarà un giorno migliore
Un giorno peggiore
Migliore e peggiore….
Guardo me
Il mio mare dentro me
Il rumore di un frigo che
Resisterà di più.

L’antisociale

Vado per la mia strada così
Un po’ tra libri ed ironie
Fra donne indecenti più di me
E un po’ tra passi d’ubriacone…
Senza badare tanto al resto
Del resto preferisco
Quei quattro folli, strani, o matti
Ognuno li chiami come vuole…
Ognuno li chiami come vuole
Tanto saranno sempre loro
Saranno loro i peggiori buoni
Migliori e vivi davanti agli altri…
Migliori intelligenti davanti agli altri
Che degli altri se ne fregano
Se ne fregano veramente
Veramente se ne fregano.
Mi dicono l’antisociale
Ma non sanno quello che dicono
Anche se dicono quel che vedono
Dei fatti loro non me ne frega niente…
Amo starmene molto più in là
A bere una bottiglia coi quattro amici
O spassarmela notti con quella
E saluti a tutto il resto che non c’è.
Io vado incontro ai giorni da solo
Senza badare tanto alle mode
Alle cose che non amo
Amo di più fare canzoni…
E cantarle brillo a chi mi vuole
A chi davvero fa sul serio
Che sul serio arriva a notte
E poi domani è un altro giorno…
Domani rivedrò le vostre facce
Uguali a ieri sempre le stesse
Così arrabbiate e represse
Io domani sarò diverso…
Diverso da domani uguali a mai
Io che non son cambiato mai
Contro il sistema e ubriacone
E saluti anche alla legge.
Mi dicono l’antisociale
Ma non sanno quello che dicono
Anche se dicono quello che vedono
Dei fatti loro non me ne frega niente
Amo starmene molto più in là
A bere una bottiglia coi quattro amici
O spassarmela notti con quella
E saluti a tutto il resto che non c’è.

Angeli senza mezzo di trasporto

Angeli senza mezzo di trasporto



I pazzi
Loro mi ammirano
Per loro sono
Come una specie di idolo.
Ho incontrato
Più pazzi vivi nella vita
Che gente sana di mente.
C’era Pippo il solitario
Uno che vedeva cose strane
E aveva paura
Di stare fra la gente
Però
Quando fra la gente
Incontrava me
Si sentiva più a suo agio
E in certi attimi
Sembrava dicesse
Qualcosa di veramente sensato
Roba, comunque
Che le orecchie dell’altra gente
Non capivano ugualmente.
Una sera lo portai
Nel garage dove allora stavo
E gli offrii la cena
E un po’ di vino.
Era difficile parlare con lui
Anche per lui era difficile
Esprimersi con me
Tuttavia riuscimmo
A passare circa un’ora insieme
Poi
Visto che si era eccitato troppo
Dovetti dargli un passaggio
A piedi
(poiché non avevo mezzo)
Quasi fino a casa sua.
Poveretto
Be’…
Angeli li chiamano.
C’era Pippo il profeta
Che faceva comizi
Sotto il nome di Dio
E spartiva ansiolitici
In cambio di qualcosa da bere
E qualche soldo
Per comprarsi le sigarette.
Una sera lo portai
Sempre in quel garage
E dopo che bevemmo
Un bel po’ di bottiglie di vino
In compagnia di due miei amici
Lo invitai a dormire lì
Lui ci provò
Ma dopo un dieci minuti
Dovetti accompagnarlo a casa
Con i miei amici
A piedi.
Quanta pazienza ci vuole
Con questi angeli.
C’era Orazio il pazzo
Che sbronzo e a voce alta
Sollecitava la gente per strada
A svegliarsi
E vivere la vita.
Un paio di sere ci ritrovammo
A sbronzarci insieme
E dopo aver parlato e parlato
Mi diceva:
“Tu la sai lunga Giò!”
Be’
Lui più che un angelo
Era un buon diavolo.
Io invece sono sempre stato
Un diavolaccio.
Oggi invece
Incontro spesso questo ragazzo
Salvatore l’intrippato
Uno che per via degli allucinogeni
O che so
È rimasto con un piede dentro
E l’altro fuori
E non riesce affatto
A sapersi regolare
E ha paura
E non si fida
Ma non riesce neanche a ribellarsi
Però
Però
Ogni quando incontra me
Gli si accendono gli occhi.
E tutte le sere che lo incontro
Al bar
O per strada
Mi chiede sempre un passaggio
E tutte le volte glielo do
E ogni tanto è capitato
Che me lo sono portato a spasso
E gli ho offerto anche da bere
Però questa volta con la macchina.
Mai trovato un angelo
Che abbia avuto la macchina;
Mi sarebbe piaciuto
Di tanto
Farmi accompagnare
A casa
Da un angelo.

E poi

E poi

Avrei voglia di entrare dentro al tuo corpo
E farti sentire quanto soffro io
Avrei voglia di fare un salto nel vuoto
E ritrovarmi in una realtà più magica
Avrei voglia di entrare nel tuo cervello
E avvelenarlo con tutto quello che ha avvelenato il mio
Avrei voglia di sbronzarmi come ai vecchi tempi
E poi buttarmi anche sotto un albero e dormire lì
Anche fino al pomeriggio del giorno seguente
E poi alzarmi tutto sconvolto
E non sentire le sensazioni
Che provoca la gente come te
Avrei voglia di infilarti un paletto in culo
E farti capire che non tutti i mali vengono per nuocere
Avrei voglia di fare tutto quello che mi passa per la testa
Ma mio malgrado in certi casi mi conviene contenermi
Avrei voglia di trasformarti in uno spinello
E poi buttarti dentro al cesso
Avrei voglia di bere l’inverosimile
Solo io e te
E poi vedere se stai ancora in piedi
Se non diventi anche tu instabile
O se non ti butterai totalmente nella paranoia
E anche in quel caso per me è normale
E come di consueto
Mi godrò la perdizione
E poi chiuderò gli occhi
E sprofonderò nell’altra dimensione.

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35enne, affascinante, dotato di genio ma senza una lira cerca vita da vivere

Chi consosce la Beat Genaration forse ora ha nostalgia di nuovi racconti beat, di quella generazione dannata che aveva in testa la scrittura, l’avventura e le esperienze estreme. Rapporti difficili che portano a scoprire la propria anima. Una vita tormentata che si accompagna nelle esperienze a Sarte, Platone, Sepulveda, Miller, Fitgerald, Fante… Uno spirito libero che legge Benni e De Sade, Celine e Seneca. Come avrebbe detto Fernanda Pivano: “Un’esistenza tragica segnata dalla genialità”. Biografia: Giovanni Favazza. Adrano CT 08/04/72. Un’infanzia ribelle, turbolenta, e stravagante. Dopo le medie non volle più saperne di istituzioni e regole e andò a lavorare ovunque per sentirsi più autonomo. A quattordici anni si diede all’alcol e non capacitandosi bene con la realtà circostante cominciò a scrivere i suoi pensieri. Cominciò leggendo Leopardi, Baudelaire, e Casanova. Intanto la sua vita diveniva sempre più sregolata, fra alcol, sfrenatezze, e droghe. A diciannove anni andò a vivere da solo in un garage, che sistemò alla meglio come casa, dove fece anche una sala prove, poiché aveva imparato a suonare il basso da autodidatta, e formò un gruppo musicale. E così fu musica e poesia e utopia e ragazze e spudoratezze e tormenti, e lesse Kesey, nel suo Qualcuno volò sul nido del cuculo, e decise di andare a fare il vagabondo. Per circa due anni stette in giro per l’Italia e l’Europa dandosi da vivere perlopiù suonando una chitarra per le strade e le metropolitane, e continuando a scrivere poesie e canzoni. Tornato dal viaggio se ne stette perlopiù in quel garage, leggendo Platone, Flaubert, Montale, Ghoete, Hesse, Seneca.. Provò a leggere Kerouak ma si trovò meglio con Sclavi, e soprattutto con Nietzsche, senza allontanarsi troppo da avventure sessuali. In quello stesso periodo scrisse il suo primo romanzo. Poi un po’ stanco della disperazione decise di farsi un mutuo e comprò un bar. In quel bar visse altre sfrenate storie, fra alcol, e sesso. Poi conobbe T. che lo conquistò, rimase incinta, e lo convinse a sposarla. Poi fallì la gestione del bar, quindi si ritrovò con un mare di debiti e senza lavoro. Nel frattempo sì improvvisò come factotum facendo questo e quell’altro lavoro, e in quel periodo scrisse e finì il suo secondo romanzo. In questo periodo lesse molto Bukowski, Dostoevskij, e Orazio. Poi mise su un altro gruppo musicale che durò fino al duemila, quando gli nacque una figlia, mentre con sua moglie il rapporto sembrava ormai del tutto in declino. Qui si immerse prima in un libro di racconti, e poi in un nuovo romanzo, il terzo, che nel giro di otto mesi mise su. In questo periodo lesse Lawrence, Fitzgerald, Fante, Hemingway, Verga, Sartre, Miller, e provò a leggere Celine e Kundera. Nel frattempo incominciò un altro libro, che più che altro fu una specie di libro diario. Nello stesso tempo scrisse anche altri racconti, e ancora poesie su poesie, e poi trovò l’ispirazione per un nuovo romanzo, che finì nel 2004. Intanto con la crescita della figlia il rapporto con la moglie si rianimò, e prese a lavorare per tre mesi come bracciante e poi come idraulico elettricista. In questo periodo lesse qualcosa di Sepulveda e De Sade. Nel 2005 concluse un altro libro, e subito dopo si buttò in un altro che scrisse e finì nel giro di circa tre mesi, fra il dicembre 2005 e marzo 2006. Poi, qualche mese dopo finì di scrivere un altro libro di poesie. Intanto sua moglie lo aveva mollato, ed ora si ritrovava nuovamente solo, di nuovo all’estremo, con i figli che stavano fra familiari e suoceri. Poi decise di darsi una calmata, e quindi di bere di meno, anche perché si ritrovava un corpo disastrato, e soprattutto perché voleva riprendere e aggiustare il rapporto con la moglie e i figli. In questo periodo scoprì Benni, e riprese a suonare la chitarra dopo sei anni che non la toccava nemmeno. Ora sta di nuovo con la moglie, e continua a bere e scrivere, ed ha formato un nuovo gruppo musicale, ed è disoccupato, ma non dispera e tiene duro. Giovanni Favazza
Leggere su MokaWeb

sabato 29 ottobre 2011

dal mio romanzo: Las Americas

Dal mio romanzo: Las Americas
Ora ero veramente senza una lira, dovevo darmi da fare per sopravvivere. L’idea di fare colletta per tutto il giorno l’avevo scartata prima ancora che partissi da Adrano, infatti mi ero portato dietro la chitarra apposta per questa evenienza, e non certo solo per farmi una suonatina con il primo musicista che avessi incontrato. Sapevo benissimo che in fondo non volevo trovarmi un posto di lavoro. Me n’ero andato in giro anche per questo. Aldilà di trovare nuove emozioni avevo bisogno di allontanarmi dalle modalità di lavoro del sistema. Avevo bisogno di allontanarmi dalla consuetudine, di maturare il mio modo, e tirare fuori tutto quello che avevo nascosto dentro. Scrutando bene tutti i dintorni scoprii alcuni punti strategici dove potermi sistemare per suonare la chitarra e fare qualche lira, e fra questi, uno in particolare, il migliore, nel sotto passaggio della metropolitana. La prima volta che andai in quel posto con l’intenzione di suonare trovai già qualcun altro che stava suonando, ma scrutando il posto a fondo, vidi che ogni tanto veniva qualche guardia e mandava via chi suonava. Ma la cosa che capii, o almeno che mi feci convinto di capire, fu quella che le guardie mandavano via quelli che più che musica facevano una frittura. Io con la chitarra avevo poca dimestichezza, ma sentivo dentro di me che potevo riuscire a fare qualcosa se non d’eccezionale ma d’originale. Essendo un autodidatta e, anche un compositore, mi preparai qualche pezzo strumentale con i pochissimi accordi che sapevo prendere nella chitarra, che faceva pensare a tutto tranne che ad una frittura. Tuttavia mi serviva ancora lo stimolo per affrontare la cosa. Una sera dissi ad Iguana se conosceva Squalo. (A questi tipi piaceva farsi chiamare con nomi stravaganti) Lui fu sorpreso dalla mia domanda, mi raccontò che aveva passato delle belle storie con Squalo, e che ora se la faceva in Piazza Navona. “Perché mi hai chiesto di Squalo?” disse poi. “Vedi, Squalo mi aveva fatto conoscere un tizio che mi ha venduto un bel po’ di trip, e questo tizio, da quando sono qui, non l’ho affatto incontrato.” “Ma questo tizio è per caso un olandese?” “Si, alto, biondo.” “Ho capito chi è, si fa chiamare Hoffmann, ma ora non è a Roma, è andato a Rotterdam, a prendere altri trip… ma ti serve qualche trip?” “Be’.” “Io so dove procurarli.” “Si, però, vedi, al momento ho solo diecimila lire…” “Ce ne metto altri cinque io e ne prendiamo due.” “Una favola.” Dopodiché andammo in Piazza Navona. Più tardi incontrammo il nostro uomo. Dopo esserci messi i trip in bocca Iguana ed io salutammo il tizio e tornammo in Piazza di Spagna. Passammo buona parte della notte insieme, sotto l’effetto del trip. Scoprii che Iguana era molto spiritoso ma anche parecchio pieno di se. Nella mattinata ci lasciammo. Andai a sdraiarmi su un muretto della gradinata con l’intenzione di rilassarmi fino a quando avrei deciso di andare a fare la mia prima suonata con la chitarra davanti a tanti passanti, e con l’intenzione di guadagnare qualche lira. Non mi misi nel posto strategico del sottopassaggio, avevo il dubbio di trovarci già qualcun altro. Mi misi all’uscita della metropolitana. Appena tirai fuori la chitarra dalla custodia si avvicinò un agente chiedendomi quali intenzioni avessi. Gli spiegai che non ero uno di quelli che maciullava i cervelli con la musica, e aggiunsi che non avevo affatto intenzione di disturbare la quiete pubblica. L’agente mi diede una possibilità, e io cercai di sfruttarla al meglio. Cominciai a suonare leggermente… intanto la gente passava indifferente… man mano andavo aumentando il ritmo, improvvisavo qualche pennata in contro tempo… poi il trip mi diede l’azione e fra la mia mente e la chitarra si venne a creare una specie di simbiosi che tirò fuori una musica spaventosamente spirituale. Suonai per circa una mezzora, con gli occhi chiusi e la testa abbassata verso il suolo, senza fermarmi un attimo. Quando mi fermai avevo ancora il sangue che mi pulsava nelle vene come un dannato. Sentii delle mani applaudire. Aprendo gli occhi vidi, fermi davanti a me, un bel po’ di gente. Feci uno dei miei sorrisi da extraterrestre, poi tirai fuori una sigaretta, e mentre l’accesi, ogni uno di loro mise la sua offerta in lire sulla custodia della chitarra stesa davanti a me. Fumando osservai i soldi sopra la custodia, erano più o meno ventimila lire. Potevo anche smettere di suonare, ma la cosa mi aveva preso gusto, anche se pensavo che il prossimo pezzo non avrebbe avuto la stessa grinta del primo. Tuttavia, quando ero inoltrato nel prossimo pezzo, dovetti ricredermi, perché mi venne fuori qualcosa di magico, d’assurdo. Per la prima volta stavo godendo di un piacere saziante, anzi, quasi stravaccante. (Se qualcuno sta pensando che sto esagerando è fuori strada, perché io ho provato veramente questa sensazione, forse grazie al trip, ma l’ho provata, e penso che l’importante sia questo. Poi tutto il resto non è altro che un aspettare che qualcuno ce la dia; la vita, la fica, l’idea, la voglia, o la forza.). Appena staccai sentii dall’alto una voce femminile urlare: “Bravo, bravo, grande, questa sì che è musica!” (roba che io me n’andai con la mente molto più in alto) Incredulo alzai lo sguardo verso l’alto. “Bravo, grande.” Vidi qualcuno gesticolare da una finestra, focalizzai, era una donna, le feci un sorriso. “Sei grande, mi hai anche fatto passare il mal di testa che mi perseguitava da questa mattina. Ecco prendi.” Da quella finestra lasciò cadere qualcosa. Solo quando arrivò a terra scoprii che si trattava di una bella banconota da diecimila stretta ad una molletta. Mandai un bacio alla donna, presi i soldi, li misi in tasca, mi accesi una sigaretta, raccolsi anche gli altri soldi sopra la custodia, v’infilai dentro la chitarra, e me n’andai. In tutto avevo guadagnato trentacinque mila lire, non male per un principiante, la vita da vagabondo si prospettava molto interessante. Dio, finalmente, stava prendendomi davvero sul serio. Nella serata ero appoggiato su un muretto della scalinata e stavo pensando… (alle stranezze della vita? No. All’esistenza di Dio? Nemmeno. Ai miei cari? Affatto. Ai miei compagni? Ma che) ad una bella scopata, mentre sorseggiavo del vino bianco. Era un bel po’ che non toccavo una donna, stavo quasi inoltrandomi nella strada per divenire filosofo, ma il pensiero ammaliziato già dall’infanzia è sempre tornato nel suo peccato. Osservando giù per la scalinata vidi Luana in mezzo ad un gruppo di fricchettoni, tra i quali c’era anche Iguana. Non avevo tanta voglia di andare tra loro e inventarmi chissà che, quindi rimasi dov’ero, con l’uccello smanioso. La fortuna aiuta sempre gli audaci, e io non sono mai stato un audace, quindi, dopo un po’, decisi di andarmi a sedere nel muretto accanto a loro. “Sempre con la bottiglia in mano tu, eh Giò!” “Già.” Gli altri mi osservarono con curiosità. “Mi dai un sorso?” aggiunse Iguana. Gli passai la bottiglia, lui fece un sorso, e quando stava per ripassarmela qualcuno del gruppo chiese se poteva fare un sorso. Io annuii. Poi venne il turno di un altro, e di un altro ancora, fino a quando non arrivò quello di Luana. Quando Luana mi passò la bottiglia la osservai negli occhi come per farle capire cosa volevo. Poi spostai lo sguardo su Iguana che si alzò di scatto come se vide qualcosa o qualcuno che doveva incontrare, o dalla quale doveva scappare, e scese i gradini saltando. Poi sparì fra la folla. Feci un altro sorso di vino e nello stesso tempo anche i fricchettoni si alzarono e se n’andarono nella direzione d’Iguana. Luana invece restò al suo posto, anzi, si mise in piedi, e si venne ad appoggiare nel muretto, accanto a me. La fortuna a volte aiuta anche i meno audaci. “Sei un tipo strano tu.” Disse Luana. “Strano?” “Si, hai un’aria misteriosa… come se la sapessi più lunga degli altri...” “In effetti, ho un segreto!” “Quale?” “Se è un segreto deve restare un segreto.” “Non me lo puoi dire?” “Non saprei…” “Dai dimmelo, non lo dirò a nessuno.” “Va beh, con te faccio un’eccezione, basta che mantieni il segreto.” “Parola.” “Ecco, vedi… io…” Feci un sorso di vino, le passai la bottiglia, tirai fuori il pacco di sigarette. “Io in realtà sono…” Le offrii una sigaretta, una la presi per me, feci accendere, e dopo aver tirato la prima boccata continuai: “Io sono un alieno venuto da un altro pianeta.” “Cosa?” “Un alieno, un extraterrestre.” Aggiunsi lasciandomi in un sorriso ironico. Luana scoppiò a ridere, e io dietro a lei. “Però mi stavi prendendo sul serio eh?!” dissi poi. “Ma dai, pensavo che tiravi fuori chissà quale storia, ma non che mi stessi giocando uno scherzo. Tieni, dai, bevi, extraterrestre.” Un goccio tira l’altro e la bottiglia finisce. “Che ne dici di andare a comprare un’altra bottiglia?” “Hai ancora soldi?” “Sai oggi ho fatto la mia prima suonata con la chitarra ed è andata magnificamente.” “Che tipo che sei.” L’idea fu mia. Dopo aver preso la bottiglia di vino andammo alla stazione ferroviaria di Termini dove c’inoltrammo, furtivi, in un vagone parcheggiato nei binari di sosta, ci sistemammo nella cabina più buia, tirammo le tende, e poi ci mettemmo comodi a bere il vino e a parlare a bassa voce. Pian piano l’aria si fece calda, io cominciai a toccarla, poi anche lei… poi vennero fuori i suoi seni e mi attaccai ai capezzoli… poi venne fuori il mio arnese e lei cominciò a masturbarlo, su e giù, giù e su… poi gli e lo condussi alla bocca ma lei non volle… quindi lei si sdraiò sulle poltrone, io le alzai la gonna, le abbassai le mutande, e glie lo ficcai dentro. Dopo aver raggiunto l’orgasmo ci attaccammo nuovamente alla bottiglia, fumando una nuova sigaretta. Quando il vino finì scopammo nuovamente, poi ci addormentammo.